Quando non siamo riusciti a cogliere un obiettivo oppure, più in generale, la nostra prestazione non è stata all’altezza delle attese, …
… può accadere che siamo portati ad accampare scuse, a cercare giustificazioni che attribuiscano l’insuccesso a forze o situazioni al di fuori del nostro controllo.
Il “non è colpa mia” diventa un mezzo per lasciare intatta l’autostima e precludere la strada a ogni analisi che ci permetta di migliorare in futuro.
Il più grande sostenitore del “combattere la cultura degli alibi”, uno dei nomi più noti della pallavolo internazionale, colui che ha portato la Nazionale Italiana sul tetto del mondo: Julio Velasco ha detto: “Ho sempre detto che sono molto orgoglioso della nazionale che ha vinto due Mondiali, due Europei, ecc. ma sono altrettanto orgoglioso della squadra che ha perso l’Olimpiade di Barcellona. Per un motivo: perché ha saputo perdere. Quando noi abbiamo perso, non abbiamo detto: è colpa dell’arbitro, siamo sfortunati, la Federazione non ci ha appoggiato, è colpa di un giocatore o dell’allenatore o del dirigente. Abbiamo detto: l’avversario è stato più forte di noi, punto e basta. […] Questi alibi noi li abbiamo combattuti in tutti i sensi e quindi quando ci è toccato perdere in una sconfitta molto dolorosa per noi perché era il sogno della nostra vita, non abbiamo detto niente. Ci siamo preparati dal quel giorno per vincere un’altra volta”
Che cos’è un alibi?
È spiegare che non riesco a fare una cosa non perché io non ci riesco ma per una cosa per la quale io non posso fare niente, non la posso modificare.
Siamo tutti immersi in una cultura degli alibi che, sebbene risulti efficace nel breve periodo, con l’andare del tempo ci divora, facendoci perdere la capacità di valutazione oggettiva. Ma qual è il meccanismo psicologico che sottostà a questa modalità di lettura degli eventi?
Attribuzione causale: quando ci capita qualcosa, noi basiamo la nostra valutazione su 3 dimensioni principali: La stabilità, la controllabilità e l’origine delle cause. L’origine delle cause, locus of control, è in particolare quella che più ci interessa qui.
Ognuno di noi ha una tendenza ad attribuire le cause dell’evento a se stesso o all’esterno e ciò impatta notevolmente sulla percezione di responsabilità.
Responsabilità: sono sempre io responsabile degli esiti delle mie azioni? O è sempre merito/colpa degli altri? Naturalmente, entrambi gli assolutismi sono disfunzionali, ma una corretta valutazione parte sempre dal ritenersi responsabili in prima battuta. Nell’analisi degli esiti, dobbiamo cominciare a reputarci responsabili, poiché è l’unico modo per poter migliorare.
Come miglioro?
Se non mi reputo responsabile, significa che attribuisco questa responsabilità all’esterno. Ma così facendo, non ho il controllo sulla situazione! Se la responsabilità è degli altri, io come posso migliorare? Divento impotente, in balia degli eventi e delle scelte altrui. Spesso è vero, subiamo un torto e lamentarci ci sembra l’unica cosa possibile da fare. Ma così non miglioriamo! Se qualcun altro sbaglia, dobbiamo chiederci cosa possiamo fare NOI per essere più forti delle sue scelte errate. Reputarsi responsabili significa poter migliorare! Significa domandarsi ogni volta cosa posso fare IO per far sì che quel dato evento non accada?
Uscire dalla cultura degli alibi risulta quindi l’unica modalità efficace per migliorare costantemente, andando oltre a torti (reali o percepiti), errori e difficoltà.
Uscire dalla cultura degli alibi è difficile poiché chiunque cerca, involontariamente, di riportarci dentro.
Basta una parola per aprire la breccia del dubbio, ma se davvero vogliamo migliorare e crescere, l’alibi è il nostro peggior nemico.